XVIII EDIZIONE
LUNEDÌ 11 APRILE 2022
Oltre il dualismo Comandamenti e Beatitudini
“Non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo, a suo tempo mieteremo. Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti” (Gal 6,9-10a), così apre Papa Francesco il Messaggio per la Quaresima 2022, il 25 febbraio 2022 su Avvenire p. 12.
È una metafora che mi piace…la mietitura è la parte “bella” dell’agricoltura (“viene con gioia portando i suoi covoni…”), a differenza della semina (“se ne va piangendo portando la semente da gettare…”) che è un vero e proprio azzardo: e il seme cadde sulla strada, fra i sassi, fra i rovi…e anche il terreno buono non è sempre così buono…darà il 30, il 60 o il 100 per 1 di seminato! Dunque, la mietitura può sì essere bella, ma spesso a condizione di “un colpo di fortuna” o di “impegno-bravura” dell’uomo-agricoltore (ben oltre la sola semina).
Questa metafora agricola, come esce dal salmo 125 prima e dal Vangelo di Mt. 13, 3-8 poi, quale significato assume per la nostra vita? S. Paolo lo fa intendere, infatti il senso del seminare (operando il bene) … non è “tanto nell’avere quanto nel donare, non tanto nell’accumulare quanto nel seminare il bene e nel condividere”. Questo, tuttavia, non significa semina senza mietitura, lo stesso San Paolo afferma: «Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà» (2 Cor 9,6).
Dunque, si semina per mietere, ma ci chiarisce bene Francesco che si può seminare per il bene altrui: «È grande nobiltà esser capaci di avviare processi i cui frutti saranno raccolti da altri, con la speranza riposta nella forza segreta del bene che si semina» (Enc. Fratelli tutti, 196). Seminare il bene per gli altri ci libera dalle anguste logiche del tornaconto personale e conferisce al nostro agire il respiro ampio della gratuità, inserendoci nel meraviglioso orizzonte dei benevoli disegni di Dio.
A prescindere dalla mia digressione “agricola”, le riflessioni del Papa, come in ogni Quaresima, invitano quindi alla conversione e a cambiare mentalità; per far questo, la XVIII edizione di Ricerca dell’uomo, Ricerca di Dio, ci ripropone il classico dilemma evangelico del come essere cristiani: Comandamenti oppure Beatitudini? Giovanni e Marialaura ci ricordano che più volte il pontefice ha ribadito che le Beatitudini sono i “nuovi Comandamenti”. A differenza di questi ultimi, che si configurano come una lista di cose da fare (ma soprattutto da non fare), le Beatitudini ci riportano in una dimensione nuova in cui l’uomo non è un peccatore da redimere, ma un essere con il quale Dio si pone in dialogo. Cui tuttavia aggiungono che, nella prospettiva di pensarsi poveri, miti e misericordiosi, si constata una società che insegna, fin da piccoli, ad essere competitivi, per essere migliori di qualcun altro.
Personalmente ho qualche difficoltà a vedere questi “automatismi” fra beatitudini e remissività; per cui modificherei l’approccio: a fronte della competitività degli “zebedei” (Giovanni e Giacomo) che avrebbero voluto sedere ai lati di Gesù, Lui dice: “…chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti.” La qual cosa non significa essere contro il merito – giusto se la meritocrazia è interpretata come dominio per approfittarne – ma piuttosto vederlo come “meritorietà” (termine di Zamagni) per primeggiare al servizio degli altri. Allo stesso modo non mi convince la contrapposizione comandamenti-beatitudini; infatti, alla domanda del giovane su come raggiungere la vita eterna, Gesù risponde di osservare i comandamenti e li elenca. A ciò aggiunge: “Se vuoi essere perfetto, va vendi quello che hai…dà il ricavato ai poveri…e seguimi” (MT. 19, 16-22). Come dire che trattasi di due “steps”, ugualmente importanti, mentre non vorrei vi fosse il tentativo di dividerli nella logica di una “cattiva” interpretazione del “ama e fa ciò che vuoi” di S. Agostino, cioè dell’amore che supera tutto. Indubbiamente vero, ma non di rado sfocia nella esaltazione di forme laiche che – per quanto encomiabili – sono in realtà frutto di filantropia (la semina è in vista della raccolta…!). Dice infatti Papa Francesco (Angelus, 23 agosto 2020): “La carità è sempre la via maestra della perfezione. Ma è necessario che le opere di solidarietà non distolgano dal contatto con il Signore Gesù. La carità cristiana non è semplice filantropia ma, da una parte, è guardare l’altro con gli occhi stessi di Gesù e, dall’altra, è vedere Gesù nel volto del povero. Questa è la strada vera della carità cristiana, con Gesù al centro, sempre”.
In questa ottica, non può – io credo – esistere il dilemma che porti a separare le fondamenta (comandamenti) dalla parte soprastante e dunque manifesta (beatitudini); col rischio, fra l’altro, di cadere in una sorta di narcisismo! Che mal si confà alla Santa Pasqua, che auguro a tutti!
Giuseppe Bertoni, Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza