XVIII EDIZIONE

GIOVEDÌ 7 APRILE 2022

Salvatore Veca e le Beatitudini di un filosofo laico

Se l’imprevedibile è il luogo teologico dello Spirito; e se gli ultimi giorni di un intellettuale testimoniano il senso definitivo della ricerca e della sua stessa vita, ecco, meritano uno sguardo attento, ma anche sorpreso questi “Pensieri nella penombra. Meditazioni sul mondo e sull’uomo”, che Salvatore Veca ha condiviso con Arnoldo Mosca Mondadori poche settimane prima di morire, lo scorso ottobre.

«La mia filosofia è stata come prendere, in modo laico, le Beatitudini». Il Discorso della Montagna come “Carta dell’umano”, il suo “tralucere” nell’amore per l’uomo fa sì che la nozione teoretica della possibilità si sposti nella speranza evangelica e di qui, volteggiando attorno alla vertigine della fede, si esalti nella preghiera. Veca giunge ad accarezzare il Cantico dei Cantici; lo fa in modo appassionato e consequenziale come chi, abituato ad approfondire il tema del linguaggio e della scienza, si misura con il Logos, la figura di Cristo, l’incarnazione, il mistero della Trinità, il dono della Croce. Non si tratta di una conversione, perché Veca fino all’ultimo si dichiara “non credente”. È che leggendo con la consapevolezza che sono i pensieri di chi è prossimo alla fine, l’impressione è quella di un intellettuale che non solo continua a cercare la luce e rimane nelle sue convinzioni, ma proprio da esse è portato più in là, a vedere l’invisibile, l’infinito, ad “acchiappare” l’Anima, lo Spirito, Dio.

Una testimonianza che fa da ponte tra credenti e uomini di buona volontà e li incoraggia a esplorare la vita alla ricerca di “punti di luce” perché solo in questo modo il passato, e di conseguenza il futuro, non ci sembreranno «una fabbrica di rovine su rovine, ma ci apparirà come un luogo luminoso, popolato di luci pulsanti come i presepi di bambini, e ogni lampadina che pulsa dice di una speranza che c’è stata, e siccome c’è stata, ci sarà». E in crescendo, la riflessione filosofica si fa poesia, contempla e richiama esplicitamente “grida di gioia e danze” dinanzi all’“amante folle”, la “follia di Dio che scardina ogni certezza”. A un passo dall’estasi, ancora una volta ci si chiede se al fondo dell’esistenza il delirio d’amore non sia, accanto alla filosofia, la strada che porta alla salvezza.

Excerpta da Filippo Ceccarelli in “la Repubblica” del 2 aprile 2022

Segnalato da Francesco Scandiuzzi, Casal Monferrato