LE RIFLESSIONI DELLA DOMENICA
29 GENNAIO 2023
Di essi è il Regno dei cieli (Mt 5,1-12a).
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
Per comprendere la portata rivoluzionaria delle beatitudini, è necessario capire il tempo in cui Gesù viveva e i valori di riferimento dei suoi contemporanei. Molte ricerche storico-sociologiche mettono in evidenza che quegli uomini avevano a cuore l’onore, la gloria, l’essere riconosciuti e anche venerati dagli altri, soprattutto da chi apparteneva agli strati inferiori della società. Ciò che contava era il nome che si era ereditato o ci si costruiva per qualche atto eroico o per l’acquisizione di ricchezza. E ciò era vero tanto nella società ebraica quanto in quella greca e romana. Qualcuno potrebbe dire: non è una situazione diversa da quella attuale, da un tempo in cui ciò che conta è avere un riconoscimento, anche una forma di venerazione: pensiamo ai valori negativi dei sistemi mafiosi (per restare nella cronaca attuale) per i quali anche il numero degli omicidi commessi diventa motivo di onore; oppure a coloro che, come diceva un artista americano, cercano il loro quarto d’ora di celebrità. Ai tempi di Gesù però c’era l’aggravante dell’impermeabilità tra le classi sociali: al vertice c’era l’imperatore con tutto il seguito di senatori e signorotti e poi via via a scendere fino al numero più cospicuo e più maltrattato: gli schiavi. È in questo contesto che Gesù dichiara beati tutti coloro che incarnano il rovescio dei valori ritenuti importanti dal resto della società. Una dichiarazione di beatitudine che diventa un’affermazione rivoluzionaria: se la retorica ufficiale dichiarava dio l’imperatore, Gesù osava affermare che Dio (indicato con il sostitutivo “regno dei cieli”) era invece dalla parte dei reietti, degli ultimi, di coloro che non hanno un nome nella storia. Il suo messaggio non è cambiato dopo duemila anni, anche se di Gesù si sono appropriati lungo la storia i potenti, i re e gli imperatori, anche se i suoi cosiddetti rappresentati hanno scelto per sé gli stessi simboli e onori che i dominatori del mondo avevano imposto per sé ai propri sudditi. Anche oggi Dio non sta con chi ostenta rosari e genuflessioni stando nei posti di comando e neppure con quelli che continuano a produrre vittime (anche i nazisti osavano dire “Dio è con noi” e dobbiamo ricordarlo proprio in questi giorni del ricordo della Shoà), ma sta e rimane sempre con le vittime, con gli scarti dei sistemi politici ed economici. Le beatitudini non sono una magra consolazione per gli ultimi ma un monito per chi pretende di essere primo.
Michele Tartaglia
Sapersi riconoscere vulnerabili
Il manifesto delle beatitudini non potrebbe essere più incoraggiante e universale, perché ognuno può riconoscersi in almeno una categoria dei vulnerabili che Cristo proclama beati. Chiunque ama un’altra persona e ne piange la perdita, o si sente incapace di affermarsi con la sopraffazione, o soffre per l’ingiustizia che serpeggia nel mondo, o viene ferito a morte dalla menzogna, come lo è stato Gesù, può riconoscersi beato, cioè capace di montare sulla navetta che fa la spola tra tempo ed eterno, di vivere la sofferenza temporanea come il seme che genera la gioia perpetua, di riconoscere la propria povertà come il recipiente capace di accogliere l’amore inesauribile di Dio. Il peccato (o la malattia) fondamentale consiste nel rifiuto di riconoscersi vulnerabili. L’Innominato manzoniano si dispera nel momento in cui si rende conto di non poter sottomettere con il suo potere pressoché insormontabile una povera contadina la cui vulnerabilità ha permesso a Dio di impossessarsi di lei. Ricordiamoci l’introduzione delle beatitudini: poveri in spirito. Perché il mondo moderno ha disonorato il povero, lo ha scoraggiato dal riconoscere la sua vulnerabilità e montare sulla navetta per l’eterno. Se ne è reso conto Don Milani quando assicura l’amico Pipetta che lo aiuterà ad abbattere i cancelli della villa del ricco, ma rifiuta di insediarvisi con lui. Il mito Americano della persona che si fa da sola non è altro che la licenza a sopprimere i beati, in nome dello stesso Cristo. Purtroppo la chiesa ha continuato a essere complice di questo sterminio. Solo Paolo VI ha avuto il coraggio di parlare della “collera dei popoli” mentre un rispettabile cittadino del sud degli USA rifiuta l’accusa di razzismo perché il suo club accetta raccattapalle e lavapiatti neri! L’arcivescovo Gänswein ha cercato di commuovere i cattolici dichiarando che Benedetto XVI sarebbe sopravvissuto al grido di dolore di miliardi di persone affamate o vittime di malattia e violenza, morendo invece per la mancanza della messa in latino. Come un bambino che in mezzo a migliaia di vittime della guerra, piange per la distruzione del suo cavallo a dondolo!
Lodovico Balducci
Le beatitudini sono l’essenza profonda dei vangeli
Resta una domanda inquieta: perché abbiamo imparato a memoria i comandamenti e non anche le beatitudini? Sono queste infatti il messaggio programmatico che riassume la vita, le opere, la morte e la resurrezione di Gesù. Forse perché le beatitudini sembrano l’elogio degli sfigati, come nota argutamente Paolo Curtaz, poveri, piangenti, perseguitati, o perché in realtà, rispetto ai comandamenti, sono troppo impegnative: non si tratta infatti di limitarci a non uccidere, non rubare, non commettere adulterio, e così via, ma di essere fattivamente misericordiosi, operatori di pace e di giustizia, puri di cuore… Esplicitando e ampliando l’invito sintetico di Gesù a farci prossimo degli altri e amarli come noi stessi, le beatitudini sono l’essenza profonda dei vangeli. Se tutti quattro i testi sacri fossero andati completamente dispersi, ma ne fosse rimasto solo un frammento con il testo delle beatitudini, penso che avremmo perso poco o nulla. Le beatitudini ci raccontano come è Dio, il Dio di Gesù Cristo, per dirla con Pascal, e come cercare di essere uomini e donne che sperimentano la beatitudine di ereditare la terra per realizzare il regno dei cieli.
Giovanni de Gaetano
Conosci te stesso
Non possiamo sperare di cambiare il mondo se prima non miglioriamo quello che siamo. La rivoluzione parte da dentro, un viaggio lungo e difficile, pieno di ostacoli, il primo dei quali siamo noi stessi. E così le beatitudini ripartono dal tempio di Apollo dove campeggiava l’incisione “Conosci te stesso”. E il viaggio verso la liberazione non può che partire da dentro. Il percorso lo indicano le beatitudini che da sempre sono le linee-guida del messaggio cristiano. Se desideriamo un mondo diverso, giusto e capace di accogliere e amare l’altro, non possiamo che essere poveri in spirito, miti, affamati e assetati di giustizia. Non possiamo non vivere nella misericordia e nella purezza di cuore. Non possiamo che operare nella e per la pace. Un programma affascinante e impegnativo, non c’è che dire. Compiere azioni senza alcuna partecipazione emotiva e spirituale non serve a nessuno, men che meno a Dio. Gesù chiede qualcosa di diverso. Chiede di ascoltarsi.
Marialaura Bonaccio