LE RIFLESSIONI DELLA DOMENICA
15 GENNAIO 2023
Ecco l’agnello di Dio (Gv 1,29-34).
In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».
Giovanni il Battista, indicando Gesù, usa una metafora molto comprensibile per i suoi contemporanei: l’agnello sacrificale, aggiungendo un riferimento al peccato. Il peccato di cui parla non indica le singole mancanze dovute alla fragilità umana, ma piuttosto la condizione del mondo che si è allontanato da Dio, traducibile con un altro concetto: le strutture di peccato, quei sistemi, cioè, che sono fondati non sul rispetto della dignità umana o sul perseguimento del bene comune, bensì su una logica di distruzione reciproca, di uso strumentale dei propri simili e dell’ambiente in cui si vive. Tutti atteggiamenti che portano al caos e alla distruzione, cose di cui, purtroppo, anche nel mondo sviluppato del XXI secolo, facciamo tragica esperienza. La cronaca quotidiana, a tutti i livelli, ci sbatte in faccia il fatto che quel Peccato (con la P maiuscola) è pienamente all’opera nel mondo e nelle vite di ciascuno. Di fronte a questo dilagare del male cosa si può fare? I vangeli ci dicono ciò che ha fatto Gesù, simboleggiato in quell’agnello che ha tolto il peccato facendosene carico: il significato originale del verbo usato da Giovanni, infatti, non è solo “togliere” ma anche “portare su di sé”. Gesù non si è voltato dall’altra parte, è sceso nella mischia, ha fatto della sua vita un impegno continuo, anzi una lotta estenuante contro il male e l’ingiustizia dilagante nel suo mondo fino a mettere in gioco la propria vita: l’agnello, infatti, era uno degli animali più usati per i sacrifici. Giovanni ci ricorda due cose con quella frase ma anche con la sua stessa vita di combattimento a sua volta contro le ingiustizie e di denuncia dei prepotenti: che Gesù è la presenza attiva di Dio nel mondo per vincere il male all’opera non solo con la violenza esplicita, ma anche con quella mascherata da grandi progetti politici ed economici ed anche quella nascosta nell’indifferenza verso le sofferenze umane; ed inoltre che anche noi dobbiamo scegliere come hanno fatto Gesù e Giovanni stesso, da che parte stare: se dalla parte delle vittime, assumendo la forza debole dell’agnello, o dalla parte dei carnefici, indossando l’abito del lupo.
Michele Tartaglia
Nella misericordia si adempie tutta la legge
Insieme al sacrificio di sangue e alla circoncisione, il battesimo veniva richiesto ai gentili e ai barbari che desideravano diventare Giudei. Più che un lavacro dei peccati veniva considerato un lavacro dalle impurità mondane. Il perdono del peccato seguendo il pentimento, come nel caso di Davide e Betsabea, era concepibile, ma la persona umana restava sotto la schiavitù del peccato originale e della morte la cui remissione era inconcepibile. Sebbene invisi agli evangelisti e specialmente a Matteo e Luca, furono proprio i farisei a concepire la resurrezione e la vita eterna, ma per quanto ne so, questo concetto non era legato alla remissione del peccato originale. Con il suo battesimo, Giovanni voleva significare il rinnovamento di una fede che si era perduta in un labirinto di rigagnoli secchi e ciechi, scaturiti dalla interpretazione letterale della legge, il cui ruolo, come spiega Paolo ai Romani, era di condannare, non di salvare. Gli scribi e i dottori della legge furono i precursori dei teologi morali, di cui papa Francesco si è liberato con un colpo di straccio quando ha dichiarato che la legge può riassumersi in una parola da vivere: misericordia. Nella misericordia si adempie tutta la legge; senza misericordia non c’è legge che conti, come ha spiegato Paolo ai Corinzi. Nel farsi battezzare, Gesù ha voluto significare la sua umanità. Probabilmente ha voluto preparare l’uditorio a una nuova comprensione della legge che può realizzarsi solo attraverso l’amore di Dio e del prossimo di cui ha fornito una testimonianza vivente, che ha aperto la strada a questo amore. Infine può aver aperto la strada a un rinnovamento di Dio, o almeno della rappresentazione umana di Dio il cui obiettivo è salvare, non punire l’umanità. Per questo Dio si unisce all’umanità a celebrare il battesimo del Figlio in una festicciola di famiglia.
Lodovico Balducci
Riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno
L’Agnello di Dio non toglie i peccati, ma il peccato del mondo, toglie la radice stessa del male. Marco Pozza ricorda che il Battista sa bene che togliere il peccato del mondo significa immergersi amorevolmente nel mondo, dentro ciò che è inferno alla caccia di ciò che inferno non è. Italo Calvino conclude “Le città invisibili” (Torino, Einaudi, 1972) con questo dialogo che ripropongo come una straordinaria lettura laica del vangelo odierno:
Kublai Khan: Tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è là in fondo, che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente.
Marco Polo: L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte, fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Giovanni de Gaetano
Il peccato è rimanere in mezzo al guado
Il vangelo di oggi ci chiede di confrontarci con il peccato, una dimensione con cui facciamo tradizionalmente i conti sin dalla nascita. È una sorta di tabù, uno stigma impresso sulla pelle e di cui non riusciamo a capire bene la nostra reale responsabilità. Poi, da adulti, i contorni di questa dimensione si fanno più precisi, netti e qualcosa dentro di noi ci fa percepire la stortura. È lì che siamo chiamati a fare scelte, e inizia la nostra responsabilità. Il relativismo a cui ci ha abituato un certo pensiero contemporaneo deve necessariamente ritirarsi davanti al dovere di prendere una posizione. Non si può rimanere nel guado troppo a lungo, è necessario raggiungere una delle due sponde del fiume. Il peccato è rimanere lì, in mezzo all’acqua senza andare né avanti né indietro. Il peccato, in fondo, è quando non siamo né grano nè zizzania. Gesù, uscendo dal Giordano sulla riva del fiume, è venuto per strapparci via da un’indifferenza che prima che gli altri uccide noi stessi.
Marialaura Bonaccio