LE RIFLESSIONI DELLA DOMENICA
1 GENNAIO 2023
Otto giorni prescritti per la circoncisione (Lc 2,16-21).
In quel tempo, i pastori andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.
Mi piace molto ricordare l’evento che si celebrava prima della riforma liturgica: non la maternità divina di Maria che cadeva l’11 ottobre (il motivo per cui in quel giorno fu aperto il Concilio Vaticano II), ma la circoncisione di Gesù, che oggi andrebbe di nuovo sottolineata, soprattutto nel contesto del dialogo ebraico cristiano. È frustrante che proprio dopo il ristabilimento delle relazioni tra le due religioni, sia stato messo in ombra l’evento che sottolinea l’ebraicità di Gesù, un aspetto ormai imprescindibile per chi vuole ricostruire col metodo storico la sua vita. Tuttavia, Gesù non fu un ebreo ordinario, ma uno che dall’interno ha rivoluzionato il modo di essere credenti nel Dio d’Israele: sulla scia degli antichi profeti ha denunciato l’uso strumentale della religione e ha ricordato ai suoi contemporanei che non ci può essere culto vero a Dio senza la cura dei fratelli, senza la ricerca autentica della giustizia. Molti ebrei in quei giorni furono circoncisi ma si accontentarono di vivere in modo ripetitivo e sbiadito al loro fede. Lo stesso vale per chi è battezzato nel nome di Gesù: miliardi di cristiani vivono i riti della propria confessione cristiana ma il mondo non sembra averne beneficio per quanto riguarda il comandamento dell’amore, se ci sono anche alti esponenti religiosi che promettono il paradiso a chi va ad uccidere i propri fratelli di umanità e di fede religiosa nel paese confinante invaso. La memoria della circoncisione di Gesù ci permette di ricordare che lui è stato e rimane ebreo, fratello di tutti coloro che dei battezzati volevano sterminare nel cuore dell’Europa cristiana, ma anche che non basta avere i segni distintivi della fede, che sia la circoncisione o il battesimo, se poi non portiamo giustizia e speranza al mondo ma, anzi, contribuiamo in modo determinante alla sua distruzione e alla demolizione sistematica della dignità umana.
Michele Tartaglia
Un invito alla gioia
Dio Padre voleva festeggiare la nascita del Suo unico figlio con un party! Lo si può capire: dopo tutto, aveva creato il mondo per poter modulare il Suo amore senza restrizioni, si, ma anche senza sfaccettature con il calore dei sentimenti umani. Invece di essere padrone di un universo funzionale e senza vita, voleva imparare a vivere le tribolazioni di un padre e una madre in diverse famiglie, ciascuna con il suo grado diverso di disfunzione, fino al punto di morirne. E questa nascita era una delle poche occasioni in cui la gioia poteva prevalere sulla sofferenza, l’appannaggio più comune dell’umanità. Per questo ha mandato i suoi angeli ad annunciare la Buona Novella. L’esperienza di millenni Gli aveva insegnato che solo in pochi avrebbero saputo udire il Suo invito. I politici e i sacerdoti erano distratti dall’impegno di mantenere il proprio potere, i primi con l’eliminazione dei nemici, i secondi con le torture della teologia morale. E i sapienti erano troppo orgogliosi dei loro sillogismi per ascoltare qualunque voce che ne mettesse in risalto l’inanità. Per questo solo pochi pastori abituati a dipendere dalla fede, invece che dalle proprie forze, hanno udito l’invito degli angeli. Forse possiamo assumere con Giovanni Pascoli che altre persone senza voce e senza potere, come gli schiavi, i gladiatori, le prostitute abbiano risposto all’invito a gioire. Mi rammarico che i pittori messicani della rivolta come Diego Rivera e Orozco abbiano trascurato la fede in cui erano nati. Invece dei pastori addomesticati di Gentile da Fabriano, avrebbero potuto dipingere la rivelazione del Natale in termini attuali, nelle fabbriche dove si spendono gli schiavi moderni, nei campi di sterminio, nelle carovane di emigranti che rischiano la vita nel deserto della Sonora o nello stretto di Sicilia, nelle madonne che muoiono nei vicoli dove i cristiani che celebrano il Natale le hanno confinate ad abortire, perché non avevano posto per Gesù nei loro palazzi e nelle loro chiese!
Lodovico Balducci
Il Natale è solo una bella favola
Questo brano del Vangelo, che ispirò Francesco d’Assisi a riprodurre a Greccio la scena qui descritta, viene riproposto il giorno di Capodanno, nel segno dello stupore. Stupore dei pastori e stupore di quelli che ascoltano i loro racconti. Non siamo più bambini, ma la vista dei presepi, grandi o piccoli che siano, semplici o arricchiti di tecnologia, ci stupisce ancora ogni volta. Poi, per il resto dell’anno, Cristo non genera quasi più nessuno stupore, il suo messaggio, addomesticato nei secoli, non scuote più le nostre coscienze, che sobbalzano invece se un vescovo si è addormentato e non si è recato in chiesa per la notte di Natale o un parroco ha finalmente chiamato i carabinieri per allontanare un barbone seduto sugli scalini della chiesa. I pastori stanno bene nei presepi, noi abbiamo da rituffarci nelle nostre mille attività quotidiane. Non c’è tempo per uno stupore che ci faccia vedere il mondo e gli altri con gli occhi della meraviglia. Il Natale in fondo è una bella favola, perché dovrebbe sconvolgerci la vita?
Giovanni de Gaetano
La vita che vince sulla morte
Nei giorni scorsi il Natale è finito sotto attacco da parte di una nota scrittrice che, in estrema sintesi, sostiene che i cattolici adorano un bambino perché hanno paura della complessità. L’affermazione, infelice ma forse solo provocatoria, ha scatenato non poche reazioni da parte dei cattolici ma anche di chi non crede che una storia millenaria possa risolversi in una lettura così semplicistica. Una pronta risposta è arrivata dallo psicanalista Massimo Recalcati che ha ricordato come ogni nascita ha del miracoloso, una testimonianza della vita che vince sulla morte. E allora, quella nascita, decritta con meraviglia da uomini capaci di scorgerla, va vista e ricordata come la possibilità che la vita ha di imporsi sulla distruzione. La più grande paura che abbiamo è finire risucchiati nell’oblio che pure percepiamo, quando i riflettori si spengono e all’anima è concesso di respirare. A Natale ci è data la possibilità di scacciare l’ombra angosciante del nichilismo. In un mondo che va dritto verso l’adorazione del nulla (ed è questa la morte), conviene continuare a celebrare la semplicità di una vita che si impone sulla morte. Semplicemente perché è l’unica speranza di conservare la nostra umanità.
Marialaura Bonaccio